venerdì 22 maggio 2009

fermati

Che solo alla morte non vi fosse rimedio alcuno, credo che lui lo abbia saputo sin dall'inizio. All'inizio della sua malattia l'averne maturato la consapevolezza era come se una scure affilata ne avesse spaccato il capo in due pezzi. Un gran mal di testa. Fortissimo. Imperituro. Concreto.
Non vi sarebbe stata possibilità alcuna di uscirne, non solo vivi, alla fine, ma sapere anche che fino a quel momento, alla fine intendo, la sua vita sarebbe stata una vita grama, dolorosa, lancinante, calda e insopportabile. Insopportabile e calda. Appiccicosa.
Glielo avevano detto. Un consiglio. Corri. Chè se corri forse riesci a lasciarla dietro. Alle spalle. Che cosa, la morte? No, la sofferenza. Quella che ti parla e ti soffia in faccia l'alito putrido della morte. Prima che la morte venga.
La notizia lo aveva investito come qualcosa di duro e rigido. Di assolutamente materiale. Aveva vacillato e non era caduto solo per un miracolo. Un puro miracolo.
Corri. Gli avevano suggerito. Sfuggi a tutta velocità, che così il dolore non ti raggiunge. Perchè è più pesante di te. E arranca. Fatica a farti male se lo disorienti correndogli lontano. Non riesce a trovarti.
Sentieri, strade, vicoli, scale, cime e profondità erano state così lo scenario in cui immergere ogni momento della sua vita per benedirlo e santificarlo dal dolore. Amen. Correndo sopra e sotto. Ansimando.
Ma che destino il suo! Ad ogni accenno di riposo e di beata lucidità (il contrario) venire investito, ogni volta, senza alcuna possibilità di fuggirne, dall'abbraccio caldo e appiccicoso della sofferenza, della mancanza e dell'asfissia...
Scoprire l'ineluttabile. Correre all'impazzata e senza sosta per sfuggire al dolore, ma pagare per tutta la vita, ad ogni istante salvato con due istanti sacrificati, al doppio del tempo impiegato, fino alla morte, domani, il dolore che alla Vita stessa era stato fatto.
Corri. Ma perchè allora?
Fermati.